Ecco cosa troverai esplorando questa pagina
Maria Barbone, UniTrento, BUD-Biblioteca Universitaria Digitale
Fabio Campolongo, Soprintendenza per i beni culturali, Provincia Autonoma di Trento
Gaia Eccli, UniTrento, DICAM/DiPSCo
Giovanna A. Massari, UniTrento, DICAM
Lucia Rodler, UniTrento, DiPSCo
Cristina Sega, Biblioteca Civica "G. Tartarotti" di Rovereto
Cristiana Volpi, UniTrento, DICAM
Benedetta Bellarte, UniTrento, DiPSCo
di Lucia Rodler
Il progetto "ecoltura. Per una ecologia della cultura" valorizza documenti inediti conservati in archivi del Trentino, legati a individui e luoghi significativi. Anzi, l’attenzione allo spazio caratterizza particolarmente la seconda edizione di ecoltura (Progetto di Ateneo Covid-19, rifinanziato dal Comune di Rovereto nel 2023-2025) che studia le case della famiglia Bossi Fedrigotti, e in particolare Palazzo Fedrigotti di Corso Bettini a Rovereto (sede del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell’Università di Trento) e Palazzo Bossi Fedrigotti di Borgo Sacco. Per fare ciò ecoltura ha scelto di partire da un documento inedito presente nell’Archivio della famiglia Bossi Fedrigotti, conservato presso la Biblioteca civica “Tartarotti” di Rovereto: l’albero genealogico stampato nel 1880.
Come d’abitudine nelle famiglie nobili, anche i Bossi Fedrigotti rappresentano visivamente l’ordine cronologico del casato e ricostruiscono le linee dei matrimoni che, a loro volta, sono veicolo di eredità e di movimento di individui, famiglie, beni, palazzi…
La valorizzazione del documento è parsa particolarmente efficace pensando alla produzione letteraria di Isabella Bossi Fedrigotti, nota giornalista e scrittrice che ha descritto più volte la storia della famiglia e dei suoi luoghi, prestando sempre particolare attenzione al tema dell’ordine.
Nel primo romanzo, di grande successo, intitolato Amore mio, uccidi Garibaldi (1980) e ambientato negli anni sessanta dell’Ottocento, nei mesi delle battaglie di Custoza e di Bezzecca, il disordine è politico: esistono da una parte gli «italianissimi», dall’altra i «fedeli all’imperatore, gli austriaci a tutti i costi».[1] Tra questi ultimi ci sono i due personaggi: Leopoldina Lobkowitz, di origine boema, e il marito Federigo Fedrigotti, roveretano. Si tratta di un bel matrimonio, che cresce nel tempo, anche grazie alle lettere che i due si scambiano e che l’autrice ha ritrovato tra le carte di famiglia. In una missiva inviata il 23 giugno 1866 da Vienna a Comano, dove Federigo è di stanza con l’esercito, Leopoldina scrive: «È lì che vi tormenta Garibaldi, coi suoi rossi banditi. Amore mio, uccidi subito questo Garibaldi! Lo trovi, gli spari e torni da me un eroe per tutti e non solo per gli occhi di una moglie innamorata».[2] Ma Federigo sa bene che le cose non sono semplici perché hanno a che fare con l’identità del popolo tirolese. Da Trento, il 6 agosto 1866, confida alla moglie la sua amarezza: che ne sarebbe delle tradizioni tirolesi se la zona passasse agli «stranieri vincitori»? «Anche se non fossero tracotanti, io li conosco, è gente con usi diversi dai nostri, non mangiano neanche come noi. Nel giro di vent’anni, una cultura andrebbe perduta».[3]
Né Leopoldina né Federigo devono diventare italiani: lei muore nel 1892, lui dieci anni dopo, nel 1902. Non ci sono più lettere tra i due coniugi, ma resta «la vita delle case»: «nel Palazzo di Rovereto entrano le suore, le “Dame inglesi”. Rimane Sacco con la stradina buia di fronte al portone».[4] Proprio Sacco è scenario di un altro romanzo di successo in cui l’ordine svolge un ruolo importante, Di buona famiglia (1991). Qui si alternano due voci del Novecento, tra fascismo e seconda guerra mondiale, che sono anche due punti di vista: Clara e Virginia. Clara scrive in seconda persona (parlando di sé con il “tu”); ormai anziana ricorda la sua vita, l’ordine a cui ha sempre tenuto:
Devi ricordarti di fare ordine, regolare ogni cosa prima di andartene: bruciare le lettere, togliere le fotografie, sfogliare i libri per levarne foglietti e noterelle rimasti tra le pagine. Mettere a posto l’archivio, i libri dei conti, gli armadi della biancheria e anche i tuoi vestiti, almeno quelli che metti di meno […] Non vuoi che scoprano pezzi della vita che non hai mai raccontato, non vuoi lasciare indietro tracce che parlino di te. Affinché non succeda quello che è successo a te con Virginia.[5]
L’allusione finale della citazione suggerisce che l’ordine nelle proprie carte è nucleo importante nella trama del romanzo. Ma qui ci limitiamo a nominare la seconda voce, quella di Virginia, la sorella di Clara, disordinata in tutto, che si racconta in prima persona, ricordando anche il disagio verso l’ordine che la circondava: «C’erano i genitori, che davano ordine al mondo, regolavano in qualche modo la vita, anche la mia. Contro di me, contro quello che volevo, probabilmente anche contro Clara e contro se stessi, ma la costruzione stava in piedi, c’erano mura forti, un tetto, la cucina». E alla fine, da anziana, anche Virginia riconosce l’importanza di quella scelta:
Non avrei immaginato di attaccarmi a queste cose, alla cucina! Ai ritmi regolari, all’ordine. Mi ero sposata per scappare da tutte queste cose, dalla prevedibile monotonia dei giorni, dai riti, innumerevoli e rigidi, che segnavano i mesi, le settimane […] anche i minimi riti che ingabbiavano le nostre giornate: mai mangiare dolciumi prima dei pasti, mai parlare a voce alta, mai bisbigliare nell’orecchio, mai a letto tardi, sempre in piedi presto, sempre vestirsi più dimessi degli altri, sempre seduti dritti, mai correre sulla strada, mai parlare con estranei, sempre finire quello che c’è nel piatto… Quell’ordine era la nostra sicurezza: la nostra casa un fortezza, ben sorvegliata, foderata affinché non potessero giungerci rumori di fuori. E io mi struggevo per quel fuori.[6]
E proprio la tensione tra ordine e disordine travolge i rapporti umani e le sorelle, con una sorpresa finale che garantisce al romanzo il Premio Campiello 1991.
Con Quando il mondo era in ordine (2015), la centralità del tema diviene esplicita: si tratta di una scrittura in prima persona plurale, a dare il senso di un ordine familiare più che individuale. E ogni capitolo inizia con la stessa affermazione: «quando il mondo era in ordine» accadeva questo e quello; erano così la casa, gli animali, il cibo, i vestiti, i domestici, le feste, i regali, le vendemmie.
In questo caso il disordine è anzitutto culturale perché la società del Novecento cambia in fretta, soprattutto nel dopoguerra: i giovani Bossi Fedrigotti si sentono diversi dai coetanei di paese (con cui giocano solo fino a che sono bambini) ma anche da quelli di città, figli «meglio vestiti e meno rustici» di amici dei genitori.[7] Anche in questo caso non anticipiamo nulla sulla conclusione del romanzo, ma leggiamo solo qualche riga della postfazione per comprendere come Bossi Fedrigotti scrive:
Come quasi ogni altra mia storia anche questa è inventata dal vero. Tutto potrebbe, insomma, sembrare autobiografia e, invece, non sempre lo è. […] E poi una parola sul titolo. Ovviamente il mondo non è mai stato in ordine, né prima né dopo; non può in alcun modo essere in ordine, come tutti sappiamo. Sono soltanto l’incertezza, l’insicurezza, lo smarrimento che i cambiamenti procurano ai bambini ad aver indotto l’immagine – irreale – di un perduto, lontano tempo felice. E un poco, di sicuro, vi ha contribuito anche la nostalgia degli adulti, di frequente espressa, per un’epoca altra, migliore e mitica: per l’età della loro giovinezza, quasi certamente.[8]
Anche l’ordine è dunque una invenzione, qualcosa di irreale, che però risulta necessario ai bambini e agli adulti o meglio alla memoria degli adulti. Nel privato è la nostalgia della giovinezza (come dice la scrittrice); nel pubblico è l’eredità che il patrimonio culturale trasmette per generazioni, dando identità a individui, famiglie, civiltà. E questa è anche la motivazione del progetto ecoltura.
Per riordinare e valorizzare i documenti presenti in archivio, le proprietà e i ritratti appesi lungo la scala e nelle stanze del palazzo di Sacco (a cui la scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti fa riferimento in Amore mio, uccidi Garibaldi) si è scelto come punto di partenza l’albero genealogico della famiglia, stampato nel 1880, che è stato rivisitato e riproposto in chiave moderna.
Il lavoro è stato diviso in alcune sezioni: L’albero genealogico, Le proprietà di famiglia e I ritratti di famiglia, a cui si aggiungono la biografia Isabella Bossi Fedrigotti e la sezione riguardante Le stanze dei palazzi.
[1] I. Bossi Fedrigotti, Amore mio, uccidi Garibaldi, Milano, TEA, 2013, p. 20.
[2] Ivi, p. 86.
[3] Ivi, p. 163.
[4] Ivi, p. 177.
[5] I. Bossi Fedrigotti, Di buona famiglia, Milano, Longanesi, 1991, p. 54.
[6] Ivi, pp. 171-172.
[7] I. Bossi Fedrigotti, Quando il mondo era in ordine, Milano, Mondadori, 2015, p. 111.
[8] Ivi, pp. 113-114.
Mantenendo come scheletro l’impostazione originale del documento si è cercato di renderlo navigabile in maniera interattiva. Gli stendardi evidenziati in verde, infatti, permettono di aprire una finestra dove si possono leggere le informazioni relative a nome del personaggio, date di nascita e morte, matrimonio, con una breve descrizione. Inoltre, passando il mouse sulle foglioline verdi, si possono vedere alcune date che rappresentano i fatti salienti della storia di Rovereto.[1]
In base alla provenienza dei dati, gli elementi componenti l’albero (immagini e testi) vengono contrassegnati graficamente in modo diverso:
Sulla base dei ritratti disponibili, inoltre, sono stati realizzati degli avatar in stile fumetto, per suggerire l’idea dell’aspetto fisico della persona, sempre adottando un linguaggio contemporaneo. Aprendo la schedina è anche possibile visualizzare un fotomontaggio del ritratto, inserito all’interno di una stanza di uno dei palazzi di famiglia, stilizzata come se fosse un’incisione.[4] Inoltre, nella sezione Le stanze dei palazzi è possibile visualizzare la sovrapposizione dell’incisione alla foto originale.
[1] Cfr. F. Campolongo, La formazione della Biblioteca dell’Architetto roveretano Ambrogio Rosmini 1741-1818, tesina Corso di Storia dell’Architettura 2, Istituto Universitario di Architettura – Venezia, Febbraio 1993, relatore: prof. R. Dubbini.
[2] Cfr. E. Pandini, I. Parisi, C. Bruni - A.R.Coop, a cura di, Famiglia Bossi Fedrigotti di Sacco - Rovereto. Inventario dell'archivio (1460 - 2003), Rovereto, Comune di Rovereto - Biblioteca civica e Archivi storici, 2017.
[3] Cfr. C. Sega, Ritratti Bossi Fedrigotti, documento che raccoglie i quadri di famiglia redatto nel 2023.
[4] Per l’elaborazione grafica dell’albero si sono utilizzate immagini, icone e vettori da freepik.it
L’analisi dei documenti catastali conservati nell’archivio ha permesso di capire quante fossero le proprietà di famiglia e dove queste fossero collocate. Nella mappa, si possono vedere in grigio tutti i luoghi dove la famiglia ha ed ha avuto proprietà tra l'ultimo quarto del XVIII secolo e il 1900, con una piccola descrizione (nei pin dove non c’è alcuna descrizione si possono trovare solo proprietà di terreni arativi, vignati, boschivi…). I tre colori segnano le tre proprietà più importanti. Il palazzo di Sacco, il Palazzo di Rovereto, in Corso Bettini, e la Tenuta (Maso) S. Antonio a Pomarolo. Cliccando su ognuno di questi ultimi si apre una tendina, con una breve descrizione tratta da documenti presenti in archivio, a cui si aggiungono due link esterni che contengono la citazione della proprietà nelle opere di Isabella Bossi Fedrigotti e un’animazione che sintetizza la biografia dell’edificio, impostata in sovraimpressione all’albero genealogico, che riproduce i vari passaggi di proprietà dei palazzi grazie ai documenti riguardanti la linea ereditaria.
Ad ogni palazzo è stata assegnata una forma geometrica che richiama l’architettura: il quadrato al Palazzo di Sacco, che allude a una forma compatta, il cerchio per il Palazzo di Rovereto, che riprende la forma del cortile interno, e il triangolo per la Tenuta (Maso) S. Antonio, che si rifà al campanile della chiesetta.
Palazzo Fedrigotti - Sacco
Palazzo Fedrigotti - Rovereto
Tenuta (Maso) S. Antonio - Pomarolo
A partire dai ritratti di famiglia conservati lungo la scalinata e nelle stanze del Palazzo di Sacco sono stati effettuati i fotomontaggi presenti nella sezione L’albero genealogico. Qui si possono vedere i ritratti nella loro condizione originale, con l’aggiunta della descrizione presente anche nelle finestre dell’albero genealogico, visibile cliccando sul +.
I fotomontaggi presenti nelle finestre dell’albero genealogico hanno come ambientazione di sfondo le stanze del Palazzo di Sacco e del Palazzo in Corso Bettini, stilizzate come fossero delle incisioni. Qui si possono vedere le sovrapposizioni tra la foto originale e l’incisione.
Per una fruizione complessiva della ricerca svolta viene qui proposta un'ipotesi di pagina web che raccoglie i vari contenuti sopra esposti.
LA STORIA ONLINE: Progetto Ecoltura e Rovereto Digital Library.
Archivi, documenti e immagini online per la storia di Sacco e della Famiglia Bossi Fedrigotti. A cura di: Università di Trento e Biblioteca Tartarotti.
8 giugno 2024, Palazzo Bossi Fedrigotti - Sacco (Rovereto)