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Ecoltura. Per un'ecologia della cultura: Bianca Laura Saibante, letterata (1723-1797)

Valorizzare i patrimoni documentali di figure storiche del Trentino

Chi (non) è Bianca Laura Saibante 

di Michaela Oberhuber

Le storie che leggiamo su Bianca Laura Saibante possono divergere moltissimo. Testi diversi ci raccontano storie diverse, hanno accenti narrativi diversi e propongono interpretazioni diverse. Le immagini di Saibante costruite nel corso del tempo evidenziano che è stata ritenuta importante e degna di essere ricordata per aspetti sempre diversi.

Per far emergere questa complessità, qui si propongono tre esempi. Differiscono tra loro per vari aspetti: l’anno e il contesto della loro produzione, la lunghezza e la natura del testo, gli interessi e gli scopi che li hanno ispirati. Tutto questo influenza in modo decisivo quale Saibante possiamo rinvenire. 

Se a fine Settecento di Bianca Laura Saibante interessava soprattutto il profilo da letterata riconosciuta e da donna religiosa, nei secoli successivi i motivi d’interesse sono cambiati e così le sue immagini: una biografia di inizio Novecento – descrivendola come madre che ha contributo all’ideale della patria con l’educazione del figlio – riflette in pieno il momento di massima tensione nazionale nel Tirolo italiano, mentre nei nostri giorni, con l’emersione di nuove sensibilità ed esigenze in relazione alla categoria di genere, Saibante viene interpretata come donna che usò la penna per combattere le disuguaglianze tra i sessi.

L'immagine di lei che ci viene presentata dipende dunque fondamentalmente da cosa leggiamo. I testi offrono informazioni sulla sua vita, persona e opera, ma con sfumature molto diverse. È importante, dunque, per avvicinarsi a Saibante (come, del resto, a ogni persona del passato), riflettere sul contesto nel quale sono stati prodotti i testi.

 

Nel 2021 il giornale online Vulcano Statale dell’Università degli studi di Milano ha pubblicato un breve ritratto su Bianca Laura Saibante. [1] La parte principale dell'articolo si concentra su quegli scritti storico-filosofici di Saibante, nei quali ha affrontato temi legati alla questione femminile. La chiave di lettura dell’autrice – ben diversa da quelle di chi prima di lei si è occupato di Saibante – influenza decisamente la narrazione della Saibante, in effetti lei qui viene ricordata come una “femminista ante litteram”.


[1] Elena Gentina, Insolite ignote. Bianca Laura Saibante, 28.4.2021, in: Vulcano Statale [ultimo accesso: 24.10.2022].

Una lettura completamente diversa è proposta da Anatolone Bettanini nella sua biografia di Bianca Laura Saibante del 1900 [1]. La sua narrazione di Saibante si basa fondamentalmente su due aspetti intrecciati tra di loro: da una parte l’enfasi sul suo presunto contributo alla patria italiana (per esempio viene collocato il coinvolgimento di Saibante nella fondazione, affermazione e crescita dell’Accademia Roveretana degli Agiati in un quadro che pone particolare enfasi sull’“italianità” di questa istituzione), dall’altra la sua funzione di madre “educatrice” di Clementino Vannetti. 

La particolarità della storia di Saibante raccontata da Bettanini emerge in modo chiaro nel suo ragionamento conclusivo: Bianca Laura Saibante avrebbe certo avuto i requisiti per diventare una “letterata più erudita e di più vasta fama”, ma proprio perché non ha rinunciato a famiglia e figlio ha potuto svolgere un servizio più elevato, formando “il grande patriota, l’illustre letterato e geniale artista, Clementino Vannetti”.


[1] Anatolone Bettanini, Saibante-Vannetti Bianca Laura, in: Atti dell’Accademia Rovertana degli Agiati, serie III (1900), 2, pp. 107–144.

Un'immagine ancora diversa di Bianca Laura Saibante è offerta da un manoscritto conservato nella Biblioteca Civica G. Tartarotti di Rovereto. [1] Si tratta di una bozza per una nota biografica, anonima e non datata, ma presumibilmente scritta poco dopo la morte di Saibante, avvenuta nel 1797. In questo manoscritto non si dà particolare peso alla funzione di madre. Il focus su Saibante come letterata è invece preponderante e costruito in modo interessante: che si fosse occupata di questioni femminili non viene nemmeno menzionato. L’interesse principale è rivolto invece ai suoi scritti stampati e al suo talento nella “toscana favella”. Saibante inoltre appare inserita in un’ampia rete letteraria: viene ricordato che aveva ricevuto molti riconoscimenti anche da celebri contemporanei e che manteneva una corrispondenza con molti, anche grandi, letterati e letterate.


[1] Biblioteca Civica G. Tartarotti Roverto (= BCR), Ms. 72.8, ac. 36 .


Corrispondenze e quotidianità

di Michaela Oberhuber

Il panorama di storie e immagini possibili su Bianca Laura Saibante può essere ampliato dalle lettere scritte dalla stessa Saibante: esse permettono di osservare alcuni aspetti, come gli stati d’animo o le pratiche quotidiane, che di solito hanno riscontrato poco interesse negli studi a lei dedicati.

L’archivio storico della Biblioteca civica di Rovereto conserva circa una trentina di lettere autografe e minute di Saibante. Coprono l’arco di tempo dal 1752 al 1795 e sono indirizzate a diverse persone, prevalentemente al figlio. Pur tenendo conto che si tratta di ego-documenti che nella forma riproducevano convenzioni stereotipate dell’epoca e seguivano indubbiamente le logiche performative dell’autorappresentazione, queste lettere dovrebbero essere sottoposte a uno studio critico e un’analisi molto più approfondita. Qui, intanto, si può solo accennare alle loro potenzialità come fonte storica, innanzitutto per la vita quotidiana ed emotiva di Saibante.

Cogliamo ad esempio che il suo ruolo all’interno dell’accademia prevedeva anche una funzione nella comunicazione ufficiale dell’istituzione. [1] Incontriamo inoltre una persona che scriveva lettere per incarico del marito troppo impegnato. [2] Purtroppo, non appaiono riflessioni sulla propria attività di letterata se non qualche espressione di (finta?) modestia, secondo cui lei non collocava sé stessa all’interno della Repubblica delle Lettere [3] e riteneva che le sue opere fossero sopravvalutate. [4] In momenti di riflessione retrospettiva emerge a volte una sorta di nostalgia, ma anche un certo autocompiacimento nel rappresentarsi come una letterata suo malgrado prestata alle incombenze casalinghe, ricordando i tempi in cui poteva dedicarsi alla scrittura, mentre poi, diventando vedova, “[la penna] si è cambiata coll'ago […] e con mille seccaggini, che domestiche faccende si chiamano”. [5] Incontriamo anche una donna con problemi di salute [6] e dolori alla mano che la limitavano nello scrivere. [7]

Anche la sua situazione abitativa si rispecchia nelle lettere, non solo tramite l’indirizzo della mittente: viveva principalmente nella casa natale nel centro di Rovereto, tra l’altro sede e luogo di incontri dell’Accademia degli Agiati – con il marito e altri famigliari come il fratello Francesco. In autunno, invece, di solito soggiornava nella tenuta di Isera, in compagnia di un cane [8]; il periodo era apprezzato particolarmente perché in campagna “il tempo è mio”. [9] Stava comunque in stretto contatto con la casa di Rovereto da dove si faceva spedire cose, come ad esempio il cioccolato senza vaniglia. [10] Inoltre, passava del tempo anche nella casa alle Grazie di Sacco vicino a Rovereto. [11]

Già questi esempi fanno emergere le potenzialità delle lettere come fonti: esse necessitano di un’attenta analisi e vanno integrate con i carteggi conservati in altri archivi (Trento, Ala etc.).

Le note rinviano ai documenti originali pubblicati su Internet Archive.


[1] Bianca Laura Saibante (= da adesso in poi BLS) a Marcantonio Zucco, 16.9.1752. BCR, Ms 17.1, ac. 56 ; BLS a Carlo Partini, 30.4.1755, BCR, Ms. 17.6, ac. 87 .

[2] BLS a Clementi Baroni Cavalcabò, 07.1.1753, BCR, Ms 17.4, ac 226 ; BLS a Clemente Baroni Cavalcabò, 28.8.1754, BCR, Ms. 17.4, ac. 288 .

[3] BLS a Luigi Miniscalchi, 5.9.1756, BCR, Ms. 17.5, ac. 73 .

[4] BLS a Giuseppe Luigi Leporini, 2.5.1763, BCR, Ms. 7.36, ac. 91 ; BLS a Clementino Vannetti, 3.11.1784, BCR, Ms. 7.30, ac. 86 .

[5] BLS a Saverio Bettinelli, 25.3.1781, BCR, Ms. 7.5, ac 48 . Una simile rassegnazione di una donna annoiata da occupazioni domestiche si evince anche in: BLS a Francesca Roberti Franco, agosto 1778, BRC, Ms. 7.5, ac. 12 .

[6] BLS a Clementino Vannetti, 13.11.1784, BCR, Ms. 7.30, ac. 83 .

[7] BLS a Clementino Vannetti, 29.10.1783, BCR, Ms. 7.23, ac. 46 ; BLS a Clementino Vannetti, 16.10.1785, BCR, Ms. 7.23, ac. 64 , BLS a Clementino Vannetti, 18.10.1785, BCR, Ms. 7.22, ac. 62 ; BLS a Clementino Vanetti, 10.11.1788, BCR, Ms. 7.31, ac. 191 .

[8] BLS a Clementino Vannetti, Giovedì santo 1781, BCR, Ms 7.25, ac. 128 .

[9] BLS a Francesca Roberti Franco, agosto 1778, BRC, Ms. 7.5, ac. 12 .

[10] BLS a Francesco Saibante, 24.9.1766, BCR, Ms. Ms. 7.46, ac. 136 .

[11] BLS a Clementino Vannetti, 12.11.1785, BCR, Ms. 7.23, ac.73 .


Dieci testi inediti di Bianca Laura Saibante

di Lucia Rodler

Perché vale la pena pubblicare dieci testi brevi in prosa di Bianca Laura Saibante?

Perché lo scopo del Progetto “Ecoltura” è quello di portare alla luce documenti ancora nascosti negli Archivi del territorio. Ma accanto a questo valore documentale, esiste anche il valore culturale degli inediti. I testi della Saibante mostrano infatti la funzione civile della letteratura italiana del Settecento. Saibante è una scrittrice che sceglie i modelli di Petrarca e Boccaccio per affermare l’italianità del territorio dove vive: la lingua italiana, il genere della novella, la struttura dei racconti di beffa e di morale dichiarano  senza esitazione l’appartenenza alla tradizione della penisola, ma mostrano anche una buona capacità di muoversi nel tempo e nello spazio: dai luoghi dell’antichità biblica e greco-latina (Israele, Atene e Roma) al mondo contemporaneo, tra Milano e Vienna, la Germania e il Veneto, a significare la ricchezza di una cultura ampia e solida nella complessità di una zona di confine.

Nota editoriale

Le novelle si leggono manoscritte nell’autografo intitolato Novelle, cicalate, lettere accademiche, catalogato BCRov con segnatura 5.23; esso è rilegato in pergamena con misure 23,9 x 17,1 e consta di pp. 191. Saibante ha lavorato al manoscritto almeno fino al 1766 perché esso contiene la Lettera intorno all’educazione dell’unico figliuolo, iniziata nell’estate del 1765 ed esposta nella tornata accademica degli Agiati del 10 aprile 1766. 

Per l’edizione a stampa del 1781 Clementino Vannetti ha tratto da questo codice alcuni testi scritti tra il 1754 e il 1761. I testi destinati alla stampa riportano correzioni, forse per mano del figlio che sono assenti nelle novelle.

Le novelle, numerate dalla 1 alla 8, si leggono alle cc. 5-59: la sequenza è regolare con le variazioni che segnaliamo di seguito: 

  • la c. 15 contiene il sonetto Filen che solea un tempo co’ pie’ pronti, che si legge anche in B.L. Saibante, Versi, ms. BCRov. 5.9., c. 10v. 
  • le cc. 16-21 contengono una Sacra rappresentazione a tema biblico, conclusa con un Capitolo in terzine. 
  • la c. 55 riporta la Prefazione di un intervento di Saibante nella tornata accademica del 27 dicembre 1751 che accompagna l’anacreontica Lascia l’agne e i pastori: la lirica non è presente e si legge in B.L. Saibante, Versi, ms. BCRov. 5.9., cc. 11-16. 
  • la c. 56 introduce l’ultima novella della raccolta (l’unica non numerata), con la prefazione letta il 27 febbraio 1752. 

Una prima trascrizione delle novelle si legge nei manoscritti 127 (per il 1750-1751) e 128 (per la novella del 1752) dell’Archivio dell’Accademia degli Agiati (AARA) che raccolgono gli interventi di tutti i membri dell’accademia (in prosa e in versi, scritti a più mani), divisi per tornate. 

Con la speranza che il progetto ALI (Autografi dei letterati italiani, http://www.autografi.net/it/) venga presto esteso al XVIII secolo, le novelle vengono pubblicate nella Libguide che UniTrento ha dedicato al progetto Ecoltura in due versioni: un’edizione iper-diplomatica del documento, resa possibile dalla scansione digitale [1]; e una trascrizione delle novelle che conserva le forme linguistiche originali, anche se lontane dall’uso odierno (doppie, plurali di - cia), ma corregge – senza segnalarlo - evidenti refusi. La punteggiatura è stata mantenuta per quanto possibile ed eventualmente integrata (per esempio inserendo le virgolette) o ammodernata; sono state mantenute le maiuscole e le abbreviazioni dei titoli di cortesia. Integrazioni e omissioni sono inserite tra parentesi quadre.

Le novelle sono state pubblicate su Internet ArchiveWikimedia Commons e Wikisource dalla dott.ssa Laura Sciorati. Ai fini del caricamento sulle succitate piattaforme le novelle I, II e III sono state trascritte da Bernardo Calabrese; tutti gli altri testi da Anna Maria Finetto. 


[1] Sulle edizioni iper-diplomatiche in rapporto alla filologia digitale, cfr. P. Italia, Editing Duemila. Per una filologia dei testi digitali, Roma, Salerno editrice, 2020, pp. 65-75.


Prove di riscrittura

"Ecoltura" è un progetto di ricerca e di divulgazione. Perciò, dopo avere trascritto e pubblicato i manoscritti inediti di Bianca Laura Saibante, si è scelto di riscriverne alcuni per il pubblico contemporaneo. 

L'obiettivo è quello di facilitare la lettura di testi che, in origine, venivano raccontati dall'autrice davanti all'assemblea degli Agiati. 

Il metodo della modernizzazione rispetta dunque la funzione originaria delle novelle, scritte per comunicare a un pubblico in carne ed ossa, e non solo per fare  esercizio di stile letterario.

Sette delle novelle, riscritte da Anna Finetto e illustrate da Letizia Chesini, si possono sfogliare in versione digitale cliccando sull'immagine in basso. Completano le prove di riscrittura le tre novelle Morire per obbedienza, Morire per denaro, Morire per amore, riportate in fondo alla pagina.

 

 

Morire per obbedienza
Novella letta il 28 febbraio 1751 in occasione di una riunione dell’Accademia degli Agiati di Rovereto
di Bianca Laura Saibante, adattamento a cura di Anna Finetto

Come narra la Bibbia, in particolare nel libro dei Giudici, Jefte era un abitante di Masfa, come tutti e due i suoi genitori. Ma, a causa dell’avversione dei fratelli maggiori, aveva dovuto spostarsi a Tob, dove capeggiava i disgraziati come lui e campava di furti.

Succede che ad un certo punto il re di Ammone, di animo infido e cattivo, attacca gli Israeliti che, avendo poco sostegno nei loro rappresentanti, ricorrono a Jefte con la promessa di farlo giudice di tutto Israele.

Jefte non crede molto a questa promessa poiché in passato proprio gli Israeliti lo avevano cacciato di casa e l’inimicizia perdurava. Ma essi lo rassicurano, invocando Dio a testimone; allora Jefte organizza la sua marmaglia e va verso gli Israeliti che lo accolgono a braccia aperte e lo acclamano come loro Giudice e Capitano.

Ricoprendo ora questa carica, Jefte non vuole marciare contro gli Ammoniti senza prima aver conosciuto il motivo del conflitto. Così sceglie alcuni anziani di Israele e li manda al Re di Ammone per interrogarlo a proposito. Questi tornano e riferiscono che Israele viene a torto accusato di vari reati. Allora Jefte pensa che l’unica soluzione possibile sia la guerra: così, pieno di fortezza e prudenza, attraversa tutto il paese oltre il Giordano abitato dagli Israeliti e raduna un grande esercito. Fa anche un voto al Signore: promette che, in caso di vittoria, sacrificherà la prima persona che gli andrà incontro, uscendo apposta di casa. Dio lo sente e risponde favorevolmente alla richiesta.

Jefte torna vittorioso, con il petto ricolmo di gioia. Acclamato più di ogni altro comandante in precedenza e circondato dall’esercito e dal suo popolo, egli si appresta a ritornare a casa.

Ma, ahimè, a lui va incontro l’unica figliuola che, uscita apposta di casa, danza e canta al suono dei tamburelli assieme alle amiche. Jefte ricorda il suo voto a Dio: si straccia le vesti, si cosparge di polvere il capo. La sua felicità si trasforma all’istante in dolore lancinante e scoppia a piangere dicendo: “Povero me disgraziato, padre abbandonato! Mia cara figliola infelice! Ma sarà possibile che tu finisca i tuoi giorni ora? Vederti ora mi ha abbattuto più dei fortissimi eserciti nemici. Era meglio che tu fossi morta ancora bambina nel tuo lettino. Io ti sarei stato vicino per consolarti e darti mille baci! Non sarei invece l’artefice della morte che ti devo dare perché ho fatto un voto al Signore e non posso rifiutarmi!”.

Nell’assistere a questo repentino e inaspettato cambio di umore e sentendo questi ragionamenti, la ragazza sviene per un bel po’ di tempo, ma poi si riprende e così parla al genitore: “Padre, anche se mi pesa non poco morire così giovane, tenete pure fede alle vostre promesse; ma prima di morire lasciatemi andare per due mesi in montagna con le amiche, per piangere il sacrificio della mia giovinezza.  Poi avvenga quello che avete promesso e io morirò contenta fra le vostre braccia, soddisfatta per avervi veduto trionfare sopra i nemici; morirò per una bella causa”.

Ammirando l’invincibile coraggio della figlia, Jefte si sente come una nave in mezzo alla tempesta; poi ricorda riconoscente i benefici ricevuti da Dio: egli è combattuto tra l’affetto paterno, aggravato dai bei modi dell’unica figlia amata, e il ricordo fedele del voto al suo Dio. Il suo animo è tutto un altalenare tra i due sentimenti, ma alla fine prevale la sua fedeltà alla promessa fatta. Le concede il tempo richiesto e si prepara ad eseguire il crudele voto. Lei, mansueta, pronuncia queste parole:

“O Signore, ti restituisco con umiltà la bella libertà che ho ricevuto da te; ti prego, accetta il mio voto! Io andrò soddisfatta verso la mia bella morte, come il marinaio che, riponendo in te ogni speranza, non si preoccupa se il mare è calmo o in tempesta”.

Morire per denaro
Novella letta il 28 marzo 1751 in occasione di una riunione dell’Accademia degli Agiati di Rovereto
di Bianca Laura Saibante, adattamento a cura di Anna Finetto

Poco tempo fa viveva a Milano un cavaliere, bravo parlatore, ma straordinariamente avaro, che pensava solo ad aumentare i propri beni, e perciò teneva a servizio solo uno staffiere e una domestica.

Risparmiava anche sul cibo: mangiava un’unica volta al giorno poche erbe, due lumache, una frittata di due uova, un po’ di pane e un po’ di vino; come condimento solo aceto per risparmiare. E con tutto questo “ben di Dio” sfamava anche lo staffiere e la domestica. A volte il cavaliere elemosinava sale e luce dal vicino, sempre per non spendere. Quanto agli abiti, faceva pietà. I pochi amici criticavano questa esagerata avarizia: “Ah sì sì, può andare a piedi chi ha un cavallo nella stalla”. Ma lui ribatteva: “Non si vive solo per mangiare, ma si mangia per vivere. E tutti dovrebbero imparare da me a vestirsi modestamente”. In inverno poi, per non bruciare legna, si scaldava al sole. E, quando usciva, raccomandava alla domestica di negare fuoco e acqua a qualunque vicino bisognoso: “non abbiamo nulla”, bisognava rispondere alle richieste. Ogni anno, infine, riempiva di prodotti il granaio e aspettava la nuova stagione per vendere, sperando di guadagnare di più.

Un anno, però, il grano ha da subito un prezzo alto; perché rimandare il guadagno? Eppure il cavaliere aspetta, sicuro di fare maggiori affari in futuro. Ma un giorno un suo castaldo gli porta del denaro e, chiacchierando del più e del meno, benedice la Provvidenza perché il prezzo del frumento è calato di molto. Manca poco che, a quelle parole, il cavaliere svenga per il dispiacere. Partito l’uomo, si chiude in camera, grida, urla e prende la tragica decisione di farla finita.

In camera c’è una travatura, con appesa una forte corda di pelle bovina. Il cavaliere se l’aggiusta a mo’ di cappio e scalcia via lo sgabello su cui era salito. Lo sgabello, cadendo, fa rumore. A quel baccano accorre il servitore, vede il padrone penzolante e, per salvarlo, senza pensarci due volte taglia la corda. Poi si dà da fare per rianimarlo in tutti i modi possibili.

Ma quell’avaraccio, rivolto allo stalliere, sbraita: “Chi mi ha strappato dal riposo?”.

E il domestico: “Dovreste darmi una buona mancia: oltre ad avervi sottratto al disonore, vi ho strappato anche alla morte!”.

Ma l’avaro cavaliere lo guarda storto e risponde: “Vuoi la mancia? Ma io ti dico che devi ripagarmi la bella corda nuova che hai tagliato!”.

Sbalordito il servo, che credeva di essere premiato, conclude: “Maledizione! Tenetevi la mia ricca pensione: sarà sufficiente per farvi comprare un’altra corda che vi impicchi sul serio”. E se ne va alla ventura, giurando di non salvare mai più uomini del genere: far del bene a loro è inutile, come lavare la testa agli asini. La fame dell’oro è davvero una brutta faccenda.

Morire per amore
Novella letta il 30 giugno 1751 in occasione di una riunione dell’Accademia degli Agiati di Rovereto
di Bianca Laura Saibante, adattamento a cura di Anna Finetto

Giovane e bella come una pietra preziosa, Camma è una donna ateniese che ama un giovane simile a lei, di nome Sinatto.

Purtroppo Camma viene notata e desiderata da Sinorige, tiranno invidioso e malvagio che, irritato dalla fedeltà della donna, fa uccidere Sinatto e prosegue l’opera di seduzione: si fa vedere pomposamente vestito, cavalca con maestria preziosi destrieri… ma niente: nessuna impresa riesce a smuovere l’animo della virtuosa Camma.

Allora Sinorige decide di chiederla in sposa attraverso i familiari di lei. Camma oppone resistenza ma, alla fine, vinta da invocazioni e intimidazioni, cede. “Cari fratelli, voi mi costringete con suppliche, minacce, preghiere, insomma con la forza, a fare ciò che mai avrei voluto fare. Va bene, ma ad un patto: che mi accompagniate prima del nuovo matrimonio, a fare un sacrificio a Sinatto perché alla fine si dimostri contento per le mie nuove nozze”. Sentite queste parole, tutti si tranquillizzano, promettono di esaudire questo desiderio e avvisano Sinorige.

Felice e impaziente, il mattino seguente Sinorige si reca al tempio di Diana, vestito di tutto punto. Qui trova Camma elegante e ingioiellata, bella come il sole. Già le vittime sacrificate bruciavano sugli altari e i sacerdoti svolgevano i loro riti.   Mancava solo che una damigella porgesse alla sposa la rituale bevanda, secondo l’uso greco. Ma Camma prende un’altra tazza, dove aveva già versato un liquido velenosissimo. Coraggiosamente ne beve un sorso e porge la coppa a Sinorige che, tranquillamente, finisce il contenuto. Non sapeva, misero, che stava bevendo ciò che lo avrebbe fatto morire!

Finalmente contenta, Camma si rivolge alle statue degli dei ed esclama: “Oh dei, custodi della mia innocenza, ora ho vendicato l’anima del mio Sinatto e vi sacrifico l’anima malvagia del suo uccisore. Vi prego solo di una cosa: fate in modo che lui muoia prima di me perché io lo possa vedere. Poi morirò contenta. E tu, cattivo tiranno, fatti preparare non il letto nuziale, ma la tomba; e va’ con le altre anime malvagie. Vedrai che gli dei non permetteranno che io muoia prima di te”. A queste deliranti parole, potete immaginarvi lo stato d’animo del tiranno. Sbigottito, Sinorige sta già male, chiede con urgenza farmaci opportuni, ma niente! Dal matrimonio passa al funerale.

La notizia viene subito comunicata a Camma, la quale, ormai sollevata, dona addirittura una gemma preziosa a chi l’ha informata della morte del tiranno. La donna si sente morire, ma trova la forza per pronunciare queste parole: “Muoio dopo averti vendicato; ora vola la mia anima e tu accoglila sapendo che è quella della tua fedele sposa. Come le nostre esistenze sono state avvinte in vita, così possano vagare unite nei campi Elisi: e auguriamoci che mai la cattiva invidia tenti ancora di sciogliere il profondo legame che c’è tra noi. Come sacrificio ricevi lo spirito del superbo tuo nemico, ti mando io la sua perversa anima”; aprendo le braccia come se stesse per stringere Sinatto, pallida in volto e per questo più bella del solito, ordina di essere sepolta vicino al marito e dolcemente muore.

 


Uno sguardo femminile sul Settecento roveretano. Bianca Laura Saibante attraverso i suoi scritti

mostra a cura di: Alessandro Andreolli, Paola Maria Filippi, Giulia Mori;
grafica di: Eleonora Marangoni;
presso la Biblioteca Civica “G. Tartarotti” di Rovereto in occasione della presentazione del volume Bianca Laura Saibante Vannetti “SETTE NOVELLE” il 26.09.2023.

Trecento anni fa, il 17 maggio 1723, nasceva a Rovereto Bianca Laura Saibante (1723-1797), intellettuale, letterata e scrittrice, cofondatrice dell’Accademia Roveretana degli Agiati insieme ad alcuni giovani intellettuali cresciuti alla scuola di Girolamo Tartarotti (1706-1761).
Trent’anni dopo, il 29 settembre 1753, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria firmava il diploma con il quale riconosceva ufficialmente l’Accademia, istituzione in cui Bianca Laura avrebbe più volte ricoperto il ruolo di “Agiatissima”.
La mostra bibliografica, documentaria e iconografica allestita presso la Biblioteca Civica “G. Tartarotti”, quale ideale complemento al convegno organizzato dall’Accademia Roveretana degli Agiati dal titolo: “Intellettuale, moglie, madre. Bianca Laura Saibante, una donna del Settecento”, ha offerto degli spunti di approfondimento dedicati alla storia del Settecento roveretano, attraverso gli occhi di una delle sue più importanti protagoniste. L’esposizione è stata articolata in una prima sezione dedicata al profilo biografico e familiare di Bianca Laura, per poi passare alla sua opera intellettuale, di studio e di elaborazione (tanto poetica, quanto in prosa), persino attraverso i rapporti intessuti con gli intellettuali del tempo. A conclusione del percorso, sono state proposte alcune tappe, anche contemporanee, della fortuna critica e dell’attualità di Bianca Laura Saibante Vannetti.

La galleria riportati i materiali esposti durante la mostra: i pannelli illustrativi e alcuni dei documenti originali custoditi a Rovereto.