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Ecoltura. Per un'ecologia della cultura: Giacomo Bresadola, micologo e sacerdote (1847-1929)

Valorizzare i patrimoni documentali di figure storiche del Trentino
Giacomo Bresadola visto da ecoltura

Ecco cosa troverai esplorando questa pagina


Gruppo di lavoro

Elena Bernardini, UniTrento, DICAM/DiPSCo

Renato Giacomelli, Vigilianum, Polo Culturale Diocesano, Trento

Ricciarda Laurenzi, Collegio Arcivescovile "C. Endrici", Trento

Giovanna A. Massari, UniTrento, DICAM

Katia Pizzini, Vigilianum, Polo Culturale Diocesano, Trento

Lucia Rodler, UniTrento, DiPSCo

Enrico Rossi, Biblioteca del MUSE, Trento

Letizia Tevini, Collegio Arcivescovile "C. Endrici", Trento

 

Hanno collaborato

Valeria Calabri, UniTrento, DiLeF

Lorenzo Caviglia, UniTrento, DiLeF

Luca Dei Giudici, UniTrento, DiPSCo

Ilaria Prando, UniTrento, DiPSCo

Filippo Pretotto, UniTrento, DiPSCo

  Dov'è finito Bresadola?

Dove è finito Bresadola?

Uno dei propositi del progetto Ecoltura è quello di raccontare i suoi personaggi attraverso il patrimonio esistente; il primo passo è stato dunque un tentativo di raccogliere, quantificare e classificare il materiale.

Grazie alla consultazione del Catalogo Bibliografico Trentino e dell’inventario dell’Archivio Giacomo Bresadola custodito al Muse e in seguito alla stilatura di un regesto del materiale conservato presso il Vigilianum è stato possibile integrare le informazioni sulle risorse, bibliografiche e non, esistenti.  

Il materiale è classificato in base alla tipologia, raggruppato in categorie generiche riguardo alla forma, scritta o iconografica. Si è scelto di operare una distinzione in base all’autore della risorsa: una parte del materiale conservato è scritto o disegnato o collezionato da Bresadola stesso, ma una componente non trascurabile è invece materiale prodotto su di lui o per lui.

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Si sono riportate in ordine alfabetico tutte le risorse scritte edite ed inedite: libri, capitoli, articoli, manoscritti, tutta la bibliografia reperibile sul Catalogo Bibliografico Trentino (prima con Bresadola come “autore” e poi come “soggetto”), integrata di tutti i documenti ufficiali, pagelle, incarichi, tessere, quaderni, appunti, lettere e minute di lettere, conservati nei vari archivi, materiale poco visibile ma di estremo interesse documentale.

La medesima organizzazione è stata riservata al materiale iconografico: da una parte si sono raggruppati schizzi, disegni, tavole micologiche disegnate da Bresadola in forma sistematica o abbozzata, dall’altra foto ritratti, foto di gruppo, targhe e sculture commemorative. Una parte del patrimonio da valorizzare consiste in collezioni di piante e funghi essiccati, conservati in buste riportanti la relativa determinazione; nonostante siano costituite da oggetti tridimensionali, si è reputato corretto far convergere queste raccolte nella famiglia del materiale iconografico, in quanto fruibili attraverso gli stessi canali sensoriali.

Oltre all’elencazione ordinata delle risorse reperite, ciascuna voce è stata arricchita di ulteriori informazioni: il soggetto o tema trattato, l’anno di produzione/pubblicazione e la relativa collocazione sul territorio nonché all’interno dell’archivio e biblioteca di riferimento. 

Un trattamento particolare è stato riservato all’Iconographia Mycologica, opera fondamentale, che, pubblicata in parte postuma, raccoglie una vita di studi micologici; costituita da 29 volumi composti da tavole disegnate affiancate a descrizioni testuali, si è reputato corretto citare l’opera (nelle sue diverse edizioni) sia nella sezione relativa al materiale scritto che a quello iconografico. 

Di seguito gli allegati completi.

Il patrimonio organizzato secondo categorie specifiche (documenti, corrispondenza, scritti e disegni, collezioni, raffigurazioni) è rappresentato da flussi di linee, connotate quantitativamente da spessore e intensità del colore. I flussi si distribuiscono secondo le varie stagioni che hanno caratterizzato la vita del protagonista. 

L’organizzazione ragionata del materiale ha condotto ad una scelta dei temi da approfondire, attraverso cui narrare il personaggio (i suoi luoghi, la rete di relazioni, lo stesso patrimonio conservato). 

Le linee di flusso, prima intrecciate per fornire tutte le informazioni qualitative e cronologiche, si dipanano trovando un nuovo ordine nella scelta dei temi secondo cui riproporre le nozioni acquisite.

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Una vita in Trentino

di Lucia Rodler 

Era di statura mezzana, ma ben complesso; alquanto asciutto, senza essere magro, lascia intravedere una forte muscolatura; il suo volto è soffuso di una tinta rosea su carnagione bianca; ha l’occhio castagno e vivace; l’ovale, alquanto largo delle guance, va con linea regolare rastremandosi verso il mento, che è lievemente rialzato. La sua fronte è alta e spaziosa. Le labbra ben tagliate, si comprimono l’una contro l’altra quando pensa, e s’aprono invece ad un dolce sorriso che irradia tutto il volto, quando amichevolmente conversa. È di spirito gaio; composto nei modi, gli fiorisce di frequente sulle labbra lo scherzo ed il frizzo spiritoso, che rallegra ma non ferisce. Ama la compagnia degli amici, e la sua conversazione è amabile e dilettosa. È un uomo colto, perché le sue cognizioni invadono anche il campo della filosofia, della storia e delle scienze positive. È un saggio, e un sapiente con un fondo di bontà ingenua. [1]

Così Giacomo Bresadola viene celebrato nel 1927 dall’agronomo trentino Giulio Catoni in occasione del suo ottantesimo compleanno. Bresadola era nato nel paese trentino di Ortisé (in valle di Sole) il 14 febbraio 1847. Famiglia contadina, laboriosa, numerosa e religiosa, che crede nell’istruzione. Perciò Giacomo viene mandato a Cloz (in valle di Non), dallo zio paterno, don Angelo Bresadola, che si rende disponibile a insegnare al nipote il latino e tanto altro. Ma Giacomo è irrequieto, non sembra portato allo studio. E allora viene trasferito a Montichiari, in provincia di Brescia, dove il padre ha rilevato e gestisce un negozio di ferramenta. Qui, nel 1858, Giacomo conclude la scuola elementare; rientra in Trentino, a Rovereto, per frequentare la Scuola Reale inferiore Elisabettina, dove si segnala per impegno e intelligenza negli studi tecnici. 
Alla metà degli anni Sessanta, però, avviene qualcosa che fa cambiare percorso a Giacomo. Si iscrive al Ginnasio Principesco Vescovile di Trento per seguire gli studi classici; e, nel 1866, sceglie il sacerdozio, iniziando un percorso che si conclude nel 1870. Resta sacerdote per 59 anni.  

La sua carriera ecclesiastica è facile da ricordare: prima curato di campagna (a Baselga di Piné, a Roncegno, a Malé, a Magràs), poi funzionario della curia a Trento, dal 1884 al 1909. Il trasferimento a Trento non gli piace, come risulta dalla lettera che l’amica Giulia Turco Lazzari invia al sacerdote il 18 gennaio 1884. Lei è felice di saperlo vicino, ma anche consapevole dei timori di don Bresadola:

Molto Reverendo Signore,
la notizia alquanto inattesa così gradevole ch’ella ci partecipa ci colmò tutti di piacere per la semplice ragione che quando accade un fatto nuovo ciascheduno lo contempla in primo luogo dal punto di vista dell’egoismo. 
Poi, riflettendo, vedemmo chiaramente qual sacrificio ella sta per compiere e ce ne dolse assai per lei. 
È vero che la vita della città, per quanto sia monotona, può offrire sempre quelle risposte intellettuali che mancano alla campagna. Ma ciò non basta certamente. Per chi è avvezzo a stare in seno alla Natura, le mura cittadine hanno poche attrattive. 
[...]
Mi sorprende davvero avere ella accettato l’incarico di Amministratore della mensa vescovile, mentre vidi sempre dedito il suo intelletto ad occupazioni tutt’altro che materiali; suppongo che ella vi sia stato costretto 
[...]
Non mi resta che augurarmi con tutto il cuore che questo soggiorno le convenga, e che quei Signori mantengano la promessa datale di lasciarla continuare i suoi studi che hanno certamente maggior valore di tutte le vescovili pietanze
[2]

In effetti il problema di Bresadola sarà proprio quello di potere studiare poco e male: mancanza di libri, di tempo, di strumenti adeguati, di denaro. Eppure, non può rinunciare ad approfondire la sua infinita passione per la bellezza della Natura: 

Chi è indifferente e freddo allo spettacolo della natura non è uomo, ché l’uomo, immagine di Dio, archetipo del bello, naturalmente si commuove allo spettacolo imponente di questo vario universo, fra cui primeggiano le bellezze vegetali. [3]

Bresadola si interessa anzitutto di botanica, anche con l’aiuto del direttore del Museo di storia naturale di Trento, lo scienziato Francesco Ambrosi [4]; e poi alla micologia, a partire da quando è cooperatore dello zio don Angelo a Malé (tra il 1874 e il 1877) e curato a Magràs, tra il 1877 e il 1884. 

Proprio a Malè Bresadola inizia a organizzare il suo lavoro di scienziato:

1. esplora il territorio, spesso in compagnia di due frati cappuccini micolifi, Padre Placido Giovanella e Padre Cipriano Pedrotti che così gli scrivono quando Bresadola viene trasferito a Trento: 

Se Dio mi continuerà la salute non mancherò di fare ogni settimana una piccola escursione, e se troverò delle cose o nuove o a lei di aggradimento non mancherò di raccoglierle ed a tempo opportuno di spedirgliele.
Di Lei affezionatissimo amico, Padre Placido

 

Incomincia a far caldo, e se una buona acqua ci verrà a consolare, spero funghi a bizzeffe.
Sempre il suo affezionatissimo, Padre Cipriano Cappuccino

Malé, 17 maggio 1884 [5]

2. acquista libri, che gli arrivano anche da lontano, perché poco è disponibile in zona, come lamenta in una lettera allo scienziato Pier Andrea Saccardo: 

Illustre signore,
senza avere il bene di conoscerLa, tranne che per fama, mi prendo, confidente nella di Lei gentilezza, la libertà forse troppo ardita, di rivolgerLe questa mia. 
Io sono un giovane prete trentino, che da due anni mi applico allo studio della micologia. Avendo inteso come Ella pubblicò, e va pubblicando delle opere in questa scienza; né sapendo dove rivolgermi per avere esatta contezza, onde acquistarle, se mi fosse possibile, pensai, fiducioso nella nota bontà degli scienziati di rivolgermi direttamente a Lei [...]
Nel Trentino non si trovano librerie scientifiche nello stretto senso e [...] abito nella Valle di Sole, lontano dai centri. [...]
Mi offro volentieri ai suoi comandi, se credesse bene servirsene di me, o per la ricerca di qualche fungo o altro che riguarda la micologia, che specialmente in questi paesi montuosi è ricca, e vergine dalle ricerche degli scienziati. [...]

Magràs, 15 giugno 1878 [6]

3. e scrive lettere e lettere a scienziati di tutto il mondo per i quali diventa un punto di riferimento importante;  

4. riesce, nel 1880, ad acquistare un microscopio, che porta con sé, naturalmente, anche a Trento.

Ecco lo spazio in cui vive in città, nelle parole di Giulio Catoni. Siamo in vicolo Madruzzo,  piccola strada abbastanza vicino al Duomo: 

[...] in una stanzetta di pochi metri quadrati dove stava a lavorare, tu avresti trovato un cassettone con sopra un armadio a vetri che serviva da biblioteca; un tavolo davanti a un sofà, alcune sedie e una poltrona. E su questi mobili montagne di libri e di opuscoli con dediche e timbri di omaggio in tutte le lingue; riviste, fotografie, manoscritti, programmi, disegni, buste gonfie con iscrizioni latine e, dentro, dei funghi. Sul pavimento lungo le pareti e negli angoli, cassettine, scatole di ogni dimensione e pacchi postali provenienti dai paesi più disparati del mondo. Osservando attentamente non si aveva l’impressione del disordine o dell’abbandono, perché ogni oggetto era al suo posto lindo e pulito, senza un grammo di polvere. Lì dentro don Giacomo si moveva come un’ape fra i favi e le cellette dell’alveare. Non potendo sedersi, perché i mobili erano occupati, egli lavorava stando in piedi, anche ultimamente, ritto sulla persona, come quando aveva vent’anni. La stanza attigua era quella del letto, deposito anch’essa di materiale, atelier da pittore e laboratorio ad un tempo. L’unico mobile non ingombro era un inginocchiatoio, sopra il quale, appeso alla parete, stava un Crocefisso con quadri sacri intorno. Su di un tavolo basso, davanti alla finestra, regnava sovrano un microscopio Zeiss di vecchio tipo, ma buono, frutto di chissà quanti risparmi e privazioni; accanto, un bicchiere con dell’acqua, alcuni aghi per dissociare i tessuti, un microtomo di quelli a mano, un temperino, vetri e corpi-oggetti per i preparati. Gli armadi colle collezioni stavano in soffitta. 
Con questa suppellettile primitiva don Bresadola ha compiuto le osservazioni che lo resero
celebre nel mondo. [7]

Davvero Bresadola si fa conoscere in tutto il mondo per competenza e dedizione al lavoro. In nessuna occasione mette da parte il suo occhio micologico. Perfino durante un funerale egli individua un fungo sconosciuto sulla cassa funebre del vescovo Giovanni Nepomuceno Tschiderer; e subito ne informa il Saccardo:

Aggiungo un funghetto che ho raccolto nel Duomo di Trento nell’occasione che si faceva il trasporto della cassa mortuaria del Pr. Vescovo Tschiderer. Investiva interamente la cassa esterna di legno, da sembrare involta in un panno lurido. Io non so dove collocarlo e perciò la prego del suo parere sullo stesso. [8]

E poi Bresadola riceve funghi per la determinazione della specie da ogni parte. Ma non sempre è facile procedere, come spiega alla Turco Lazzari:

Stimatissima Signora Baronessa,

[...] Ricevetti dai miei corrispondenti anche molte cose, ma mi giungono sempre schiacciate, o peggio, giacché, per economia, male spediscono sempre in scatole di cartone.

[...]Trento, 15 novembre [9]

E intanto passano gli anni e gli impegni amministrativi aumentano e la fatica si fa sentire:

Sembra che dopo che ho assunto tale compito, gli affari d’ufficio mi sieno moltiplicati; anche quest’anno dispongo di pochissimo tempo, ed ora la sera non ho più voglia di lavorare, perché incominciano a farsi sentire le conseguenze dell’età.

[...] e quando venne il nuovo vescovo Valussi lo trovai poco benevolo verso di me. Il perché non lo seppi, ma lo supposi [...] il Vescovo Valussi visse fino a due anni fa; non mi ha mai parlato dei miei studi, quantunque io avessi sempre mandato in Curia le mie pubblicazioni. Egli era Vescovo politico e non vi attribuiva nessuna importanza. [10]

Ormai nel nuovo secolo Bresadola vorrebbe ritirarsi dal lavoro di amministratore per studiare. Ma impiega tre anni, dal 1906 al 1909, per realizzare questo desiderio. Poi, purtroppo, sopraggiungono numerosi problemi di salute e soprattutto dolorosi reumatismi.

E intanto arriva anche la guerra, così narrata al Saccardo il 9 dicembre 1918:

Io ho dovuto partire da Trento alla fine di maggio 1915 e per due anni andare errando senza letteratura micologica, senza voglia di lavorare e col timore di essere posto in qualche luogo di concentramento ove ci si sarebbe certamente lasciata la pelle per deficienza di nutrimento e per il freddo. Dopo due anni potei, per un caso fortuito, ottenere il permesso di ritornare a Trento, ma anche qui non feci nulla, giacché ho trovato il mio erbario molto deteriorato per essere stato durante la mia assenza collocato negli avvolti del Collegio vescovile, che si credevano asciutti e invece non lo erano, e perciò ho dovuto ripararlo e vi perdetti molto tempo. Inoltre si doveva sempre pensare all’approvigionamento, altrimenti colla quantità data dalla tessera, si sarebbe morti estenuati; conveniva perciò rivolgersi qua e là, mettersi in mano degli strozzini, per cui si ha esaurito tutte le scorte in danaro. [11]

Dopo la guerra gli amici lo cercano: così lo scienziato Caro Massalongo scrive ad esempio il 9 dicembre 1918:

Dopo tanti anni e dopo tanti eventi, può immaginare come io desideri ardentemente avere sue nuove, specialmente della sua salute e delle sue collezioni botaniche. Il Saccardo, Mattirolo, tanti mi hanno richiesto se so niente di lei. [12]

E proprio il medico Oreste Mattirolo invia a Bresadola una preziosa testimonianza, in data 4 novembre 1918:

Molto reverendo amico,

in questo giorno memorando, miracoloso! Invio a lei con tutta la forza del cuore, con tutto l’entusiasmo dell’anima il più caloroso saluto, augurandomi di trovarla in condizioni perfette di salute, suo compatriota, Oreste Mattirolo. [13]

In realtà i primi riferimenti all’irredentismo si avvertono nel 1910 dalle parole del gesuita portoghese, Camille Torrend, appassionato micologo, prima allievo per corrispondenza di don Giacomo e successivamente suo amico di penna:

Mio caro amico,

Sapete che ho avuto dovuto impegnarmi per comprarvi un assegno! Dovevo mandarvelo via posta, come promesso – ebbene! Gli impiegati della posta hanno rifiutato di spedirlo su pretesto che Trento non è in Austria, ma in Italia! E che se lo volevo fare spedire in Austria non si sarebbero presi alcuna responsabilità per il denaro! Eccone degli irredentisti curiosi! La cosa più simpatica è che i loro dizionari di geografia dicono la stessa cosa…Vostro devoto C. Torrend. [14]

E finalmente, dopo una decina d’anni, sul retro di una cartolina datata il 10/05/1921 si legge: «Mr. L’Abbé J. Bresadola, «Mr. L’Abbé J. Bresadola, Trento (Via C. Madruzzo), Italia». [15] 

Dopo la guerra ci sono anche i problemi economici che costringono Bresadola a vendere - dolorosamente - parte delle sue collezioni a Stoccolma e a Washington.

Per fortuna a 80 anni don Giacomo ha la soddisfazione di vedere stampato il primo volume della sua pubblicazione più importante, cioè l’Iconographia Mycologica. Questa opera ha un valore scientifico immenso, anche perché è accompagnata da immagini tratte dal vero. Non è un particolare irrilevante, anzi. Lo spiega bene il geologo Giovanni Battista Trener, Direttore del Museo civico di storia naturale di Trento:

molte sono le iconografie micologiche con parecchie figure disegnate di seconda o di terza mano o addirittura ricostruite su semplici diagnosi e molte ancora quelle che essendo ornate di bellissime illustrazioni fatte da pittori, appagano benissimo l’occhio dal lato artistico, ma non soddisfano affatto lo scienziato che nelle figure non cerca il quadretto di genere colle fresche erbette, le lumachine, ecc. e la “posa artistica” del fungo, bensì i dettagli necessari alla determinazione della specie. [16]

Anche nelle parole del professore francese Lucien Quélet, con il quale intrattiene un fittissimo scambio epistolare su questioni micologiche, si legge a più riprese l’ammirazione per la sua abilità nella rappresentazione e descrizione:

Ho ricevuto la figura del Pl. Columbinus, buona per i colori (che debordano un po’ dai contorni). Le vostre sfumature sono realistiche; nelle icone di Cook tutto lascia a desiderare. [17]

Purtroppo Bresadola vede pubblicata solo una parte di questo monumentale lavoro: 10 volumi su 26, perché il 9 giugno 1929 muore, ormai onorato e famoso anche in patria.

Ecco alcuni segni di riconoscimento:

Nel 1930, nel salone delle solennità al Museo di Storia naturale di Trento, il Prof. Trener inaugura un busto dedicato a Bresadola.

Nel 1947, in occasione del centenario della nascita, la SAT alta Val di Sole pone sulla facciata della casa natale una targa marmorea.

Nel 1967, a cura della Provincia autonoma di Trento, viene posto un busto bronzeo, opera di Davide Rigotti, nella parte absidale esterna della chiesa di S. Cristoforo, a Ortisé.

Un altro busto in marmo, con don Bresadola che osserva un fungo, esiste ancora in Piazza Dante a Trento.

A Trento porta il suo nome una scuola media.


[1] U. Fantelli, Don Giacomo Bresadola da Ortisé. Il prete dei funghi, Centro studi per la Val di Sole, 1999, p. 98. Cfr. G. Catoni, L’abate Giacomo Bresadola per l’80° compleanno, in E. Fox (a cura di), SOSAT. 75 anni in difesa della natura, Edizioni SOSAT, 1996, p. 147.

[2] G. Turco Lazzari, Lettera del 18.01.1884; cfr. Giacomo Bresadola. Inventario dell'archivio (1866-1929), a cura di C. Bruni, E. Pandini., I. Parisi, Museo delle Scienze - MUSE, 2016, s. 16.36, n. 1.

[3] U. Fantelli, op. cit., p. 102.

[4] Ivi, p. 101.

[5] P. Giovanella e C. Pedrotti, Lettere del 17.05.1884; cfr. Giacomo Bresadola. Inventario dell'archivio (1866-1929), cit., s. 8.23, n. 3.a.  

[6] U. Fantelli, op. cit., p. 120.

[7] Ivi, p. 135. Cfr. G. Catoni, 100 anni dalla nascita di un grande micologo: Don Giacomo Bresadola, in «Studi trentini di Scienze storiche», XXVI (1947), n. 1, pp. 70-71.

[8] Lettera del 15 gennaio 1893. Cfr. Fantelli, op. cit., p. 136.

[9] Biblioteca Comunale di Trento, Fondo Turco Lazzari, ms. 5684, Lettera di Bresadola del 15 novembre.

[10] Lettere del 7 giugno 1901 e dell’8 aprile 1906. Cfr. Fantelli, op. cit., p. 137.

[11] Lettera del 9 dicembre 1918. Cfr. Fantelli, op. cit., p. 149.

[12] C. Massalongo, Lettera del 9.12.18; cfr.  Giacomo Bresadola. Inventario dell'archivio (1866-1929), cit., s.12.20, n. 41.

[13] O. Mattirolo, Lettera del 4 novembre 1918; cfr. Giacomo Bresadola. Inventario dell'archivio (1866-1929), cit., s. 12.22, n. 39.

[14] C. Torrend, Lettera del 23 marzo 1910; cfr. Giacomo Bresadola. Inventario dell'archivio (1866-1929), cit., s. 16.29, n. 48.

[15] C. Torrend, Lettera del 10 maggio 1921; cfr. Giacomo Bresadola. Inventario dell'archivio (1866-1929), cit., s. 16.29, n. 68.

[16] G.B. Trener, L’abate Giacomo Bresadola, gloria italiana, in «Trentino», a. 3, n. 2 (febbraio 1927), p. 31.

[17] L. Quélet, Lettera del maggio 1981; cfr. Giacomo Bresadola. Inventario dell'archivio (1866-1929), cit., s. 14.2, n. 12.


La rete di relazioni

La corrispondenza ha rappresentato una sfida: è il materiale che maggiormente si presta ad arricchire la biografia del personaggio della terza dimensione (quella più intima) ma, al tempo stesso, una selezione radicale era imprescindibile. 

Per individuare un criterio valido nella scelta dei corrispondenti da esaminare, è stato indispensabile incrociare le informazioni ricavate nella fase di analisi del patrimonio documentale; in particolare quelle estrapolate dall’inventario dell’Archivio del Muse e quelle dedotte dalla lettura delle varie biografie.

Dal primo documento è emerso che l’Archivio Giacomo Bresadola custodito presso il Museo delle Scienze conserva circa 3500 lettere, perlopiù ricevute, dal nostro micologo. La maggior parte dei corrispondenti, circa il 70%, invia tra 1 e 10 lettere a don Giacomo. Meno dell’1% dei suoi corrispondenti, circa una decina, gli inviano tra le 50 e le 150 lettere, intrattenendo di fatto delle relazioni epistolari lunghe anche più di mezzo secolo. Questi numeri sono di per sé un dato importante, che vale la pena di trasmettere, perché consentono di fotografare lo stato dei rapporti intrattenute dal micologo trentino. 

Corrispondenza esaminata

Il carteggio di Giacomo Bresadola colpisce per quantità e qualità.

Da una parte esso testimonia la dimensione della corrispondenza italiana e internazionale dello scienziato trentino. 

Dall’altra parte esso fornisce elementi interessanti su metodi della ricerca scientifica, consuetudini degli scambi epistolari, storia del periodo tra Otto e Novecento e carattere dei e delle corrispondenti e di Bresadola soprattutto. 

Questa sezione è stata pensata come guida tra materiali di grande valore perché manoscritti e in gran parte inediti, di cui riporta dati archivistici, riferimenti spazio-temporali e brevi note di contenuto.

La selezione di alcune personalità alle quali guardare con interesse deriva dal confronto tra l’inventario dell’Archivio G. B. del Muse e la citazione dei rapporti (scientifici e personali) in bibliografia, nella speranza che le letture critiche proseguano grazie ad altri/e studiose/i  interessati/e a valorizzare Bresadola e la micologia ottocentesca.

RitrattiPer ciascuno degli autori si è scelto di riportare alcune lettere, quelle che consentono di cogliere qualche sfumatura del protagonista o di scoprire alcuni meccanismi della comunità scientifica in cui operava, come lo scambio di exsiccata, riviste, libri.

Sono stati raccolti in forma di tabelle, l’attuale collocazione ed eventuale segnatura, il luogo e la data di spedizione, il mittente ed una breve descrizione del contenuto o commento sui passaggi salienti.

A ciascuno dei corrispondenti esaminati si è voluto attribuire un volto. Gli interlocutori, pur scrivendosi per anni, in molti casi non hanno avuto l’occasione di incontrarsi di persona. L’idea è quella di mostrare il loro profilo così come lo doveva immaginare don Giacomo, attraverso dei “ritratti di carta”, ovvero le sagome dei volti, che filtrano attraverso le loro lettere manoscritte. Lo stesso profilo dei ritratti è sotto-impresso alle tabelle, per aiutare il lettore a far propria un’immagine dello scrivente, rendendo questa selezione più umana e non solo un “elenco”.