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Ecoltura. Per un'ecologia della cultura: Luisa e Marco Anzoletti, scrittrice (1863-1925) e musicista (1867-1929)

Valorizzare i patrimoni documentali di figure storiche del Trentino
Luisa e Marco Anzoletti visti da ecoltura

      

 

 

 

 

Ecco cosa troverai esplorando questa pagina


Gruppo di lavoro

Elena Bernardini, UniTrento, DICAM/DiPSCo

Alberto Delama, UniTrento, Dip. Lettere e Filosofia

Carla Gubert, UniTrento, Dip. Lettere e Filosofia

Stella Manerba, UniTrento, Dip. Lettere e Filosofia

Giovanna A. Massari, UniTrento, DICAM

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di Carla Gubert e Stella Manerba

Luisa Anzoletti nasce il 9 aprile del 1863 a Trento e quattro anni più tardi, il 4 giugno 1867, il fratello Marco. Ricevono dai genitori una formazione artistica a tutto tondo, entro la quale musica e letteratura assumono di certo un ruolo di grande rilievo. Il padre Luigi, infatti, era violoncellista e nel mondo della musica operano anche i tre zii, pianisti, compositori e direttori d’orchestra. Entrambi i fratelli si dedicano alla pratica strumentale, Luisa del pianoforte e Marco del violino; ma è solo quest’ultimo a fare della sua passione per la musica anche una professione a tutti gli effetti, ottenendo subito dopo il diploma la cattedra di Violino del Regio Conservatorio di Milano. All’insegnamento, Marco affianca per tutta la vita anche l’attività concertistica, esibendosi in tutta Italia e in area mitteleuropea.

Luisa, seppur ottima pianista, nota per lo più in veste di accompagnatrice del fratello, si dedica all’ambito letterario e diviene una conferenziera riconosciuta in tutto il Paese, oltre che poetessa apprezzata dalla critica. Le tematiche prevalenti della sua produzione e delle sue riflessioni hanno carattere socialmente impegnato, quali l’emancipazione femminile negli ambienti cattolici, l’interventismo durante la prima guerra mondiale e l’irredentismo trentino di fronte alla dominazione austroungarica.

Le vite dei due fratelli gravitano attorno a due poli: Trento, dove crebbero nella casa natale di Villa Rosa, sul colle di Mesiano, e Milano, crocevia della vita culturale italiana, sede centrale delle loro attività lavorative e artistiche.

Luisa, soprattutto, vive alternativamente la frenesia cittadina milanese e una meno caotica vita di campagna durante le lunghe permanenze estive nella casa trentina dei genitori, dove riesce a dare adito all’estro artistico allontanandosi dagli oneri sociali che incombono su di lei nel capoluogo lombardo.

A testimonianza e resoconto delle loro biografie, giungono fino a noi, conservate nell’Archivio della Biblioteca Comunale di Trento, le numerosissime lettere che compongono l’epistolario dei due fratelli, affezionati tanto da condurre una vita quasi simbiotica. Infatti si confidavano e confrontavano anche riguardo alle rispettive scelte artistiche, condividendo composizioni musicali e poesie. Questo eclettismo permette loro di inserirsi in una ampia rete culturale e di essere riconosciuti, anche dopo la morte, come artisti e pensatori a tutto tondo, versatili e dalle molteplici competenze.

Il treno: in viaggio tra Trento e Milano

Lettera di Marco Anzoletti al padre Luigi e alla sorella Luisa, 1914 ottobre 18 Milano: [1]

Carissimi papà e Luisa,

dopo la solita cartolina (...) un’altra ne aggiungo (in data 15) ritornando il libretto di viaggio allo scopo che fossero tosto esperite le necessarie pratiche di vidimazione del medesimo presso il console italiano residente a Innsbruck. Spero che avrete ricevuto il tutto.

Sempre più mi convinco che farebbero bene di pernottare a Trento o a Verona, per rendersi men pensante il viaggio; tanto più che il tempo s’è ora messo alla pioggia, e chissà per quanto d’acqua ne avremo!

Per vostra norma, a Trento bisogna prendere il biglietto fino a Peri, altrimenti giunti a Peri (come è stato il caso nostro) dovranno pagare la differenza per il tratto di Ala – Borghetto – Peri.

Giunti a Ala (ove c’è una fermata di ¾ d’ora) bisogna scendere dal treno per montare sopra quello italiano di prosecuzione fino a Verona. Ma giunti a Peri, quivi si deve presentare agli agenti italiani il passaporto o il libretto vidimato come ho accennato sopra. Ho anche sentito parlare di una visita medica, ma questa non dette a noi molestia alcuna. C’è un sanitario italiano che dà un’occhiata dal capo ai piedi sopra i viaggiatori e fa passare oltre. Si arriva davanti a una tavola, ove siede un triumvirato di agenti incaricati dell’esame dei passaporti. Staccano dal libretto il foglietto, interrogano e preparano una carta sulla quale trascrivono il contenuto del foglietto, e la consegnano con l’ingiunzione di presentarsi, giunti alla meta del viaggio (Milano) al Municipio. Io però non sono andato affatto a Palazzo Marino. Non ne ho il tempo. Poi si procede alla visita di bagagli che è come al solito, solo che bisogna dal treno portar giù tutto. Le posate della frutta vi consiglierei d’informarvi se si possono spedire come merce, onde non caricarsi di troppi cesti e scatole e fagotti che sono sempre incomodi, specie se il concorso dei viaggiatori è animato. E dopo Verona lo è sempre, mentre la direzione delle Ferrovie fa economia eccessiva di carrozzoni.

A Verona (Porta Nuova) si arriva poco dopo le Undici, c’è una fermata di ¾ d’ora circa. A mezzogiorno si riparte per essere a Milano alle 2 e ½ apress’a poco. Ancora giovedì sono stato a quell’istituto d’educazione diretto dalla Sig.na Blankenstein, ma non vi ho trovato nessuno. Le maestre di nazionalità tedesca sono partite per la patria, quelle di nazionalità francese idem per la Francia ove hanno vecchi parenti; e non sono per ora rimaste che delle sostitute direttrici italiane. Quando, e se ritorneranno le signore che conosciamo, non si sa per ora. Ciò attinsi dal portinaio al quale lasciai la tua busta con l’incarico di consegna.


[1] Biblioteca Comunale di Trento, fondo L. Anzoletti 4.653/22.

 


 

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di Carla Gubert e Stella Manerba

Lo spirito nazionalista è un tratto comune a quasi tutte le scrittrici e giornaliste italiane tra la Guerra di Libia e la Prima guerra mondiale anche se solo poche, come ad esempio le futuriste, si dichiarano apertamente interventiste. Assoggettate a quella retorica bellica che si vuole schematica e con poche ricorrenti idee convenzionali, perpetuano perlopiù una rappresentazione della donna come madre o moglie del soldato, in totale asservimento alla campagna propagandistica dell’epoca.

Il fervore patriottico di Luisa Anzoletti emerge chiaramente nei vari discorsi e conferenze pubbliche, così come negli scritti poetici, sebbene si nota, in questi ultimi, un indebolimento delle convinzioni interventiste. Quella che in Canti dell’ora era inizialmente definita una «guerra giusta» viene poi rivalutata per le conseguenze catastrofiche che comporta, terribili tanto per chi combatteva al fronte quanto per chi rimaneva a casa, cercando di impedire l’arresto delle normali attività economiche e sociali.

Donna attiva anche in ambito sociale, Anzoletti è una fervente femminista e professa valori intrisi di cattolicesimo. La sua visione della donna è perciò permeata dall’idea tradizionalmente religiosa secondo la quale essa debba mantenere un proprio saldo ruolo familiare, come moglie e come madre, al pari dell’impegno politico che in questo periodo si comincia a rivendicare.

Nel 1895 Luisa dà alle stampe La donna nel progresso cristiano [1], in occasione del Congresso Eucaristico tenutosi a Milano nel medesimo anno. Il saggio trova riscontri e apprezzamenti internazionali ed è così tradotto in inglese e, poco dopo, in francese. Per la stesura del libro l’autrice guarda al modello americano come risulta evidente dall’intervento manoscritto di Anzoletti in prima pagina, sulla copia conservata alla biblioteca del College di Harvard: viene infatti trascritta una citazione tratta da Woman In the Nineteenth Century [2], della statunitense Margaret Fuller Ossoli, in cui si asserisce la purezza di una vita dedicata a Dio. [3] Secondo la saggista, la donna americana deve il suo primato all’istruzione ricevuta nei college, che prevede l’insegnamento di tutte le materie scientifiche e letterarie. Anche in campo lavorativo, negli USA la donna viene ritenuta degna aiutante dell’uomo, sebbene non ancora completamente emancipata. Secondo Anzoletti, la situazione in Italia è nettamente retriva rispetto al progresso nella parità di genere che si sta raggiungendo oltreoceano.

Tuttavia, anche nella Penisola in quegli anni stanno nascendo le prime associazioni femministe composte perlopiù da donne borghesi. Tra esse, nel 1897 l’Associazione nazionale per la donna e nel 1899 l’Unione femminile nazionale, che nel 1901 dà vita alla rivista «Unione femminile». Pochi anni dopo, nel 1909, l’Unione fra le donne cattoliche critica tutta quella frangia del movimento femminista che si è attivata affinché la donna possa avere una maggiore incisività nella vita politica. Anzoletti stessa, in La donna nuova [4], sostiene la tesi secondo la quale si dovrebbe svuotare il movimento femminista di tutti i suoi contenuti pagani: «Cerchiamo un po’ che questa parola diventi cristiana». [5] Del femminismo la scrittrice trentina non avverte l’aspetto politico, né contesta la struttura delle istituzioni, ma si concentra piuttosto sulla critica di alcuni aspetti più trascurabili, marginali. Questo perché, alla fine del XIX secolo, la cultura cattolica ancora non è in grado di assimilare e fare propri gli impulsi rivoluzionari, percepiti come una forma di disordine sociale (e così li avverte anche Anzoletti). La posizione dei cattolici è altresì una forma di reazione alle rivendicazioni femminili nell’ambito del lavoro, che hanno assunto a loro giudizio la peculiarità di rivolte e che, portate all’estremo, rappresentano la dissoluzione o la commistione dei compiti attribuiti da Dio ai due diversi sessi. Anzoletti cita come esempi virtuosi i nomi biblici di Giuditta e Debora, fondamentali per la storia di Israele. Dopo di loro, dice l’autrice, «ogni altra incursione femminile sul terreno politico ha nella storia il carattere di un moto d’anarchia». [6] Pur essendo ostile ai moti rivoluzionari femministi, la scrittrice crede che la donna abbia il

diritto di sottrarsi alla schiavitù dell’ignoranza e della inettitudine al lavoro, e al conseguente bisogno di una sussistenza elemosinata, alla quale è via frequente il matrimonio. [7]

Assunta questa prerogativa, Anzoletti constata che per molte donne è venuto meno lo scopo della famiglia, a cui sono costrette per necessità economiche e di sostentamento. In altri casi, sostiene, le donne sono libere dagli oneri familiari e hanno quindi modo di assumersi gli stessi doveri dell’uomo, mirando ad ottenere i medesimi diritti, ma rinunciando alla dedizione della madre e della moglie. In tutte le sue opere di argomento femminista, rimane sempre sottesa un’idea ambivalente della donna, che non deve privilegiare l’erudizione a scapito dei saperi pratici, ma nemmeno privarsi del tradizionale ruolo di tutrice familiare. [8]

L’impegno femminista di Anzoletti diventa attivismo politico nel primo decennio del Novecento. Nel 1904 pubblica il saggio Contributi ad una discussione sul femminismo [9], in cui vira verso una posizione più vicina alle donne appartenenti alle classi proletarie. Scrive infatti:

Il femminismo è frutto dei mutati rapporti e strutture sociali, trova consensi nelle lavoratrici, mentre si oppongono ad esso talune classi di signore o troppo agiate per poter sentire gli stimoli incalzanti della questione economica o non abbastanza giovani di spirito per capire i bisogni dei tempi nuovi e prestare il loro generoso aiuto. [10]

 In questo estratto si coglie il distacco dell’autrice nei confronti delle donne benestanti che non sentono vicini e importanti i motivi di ribellione di coloro che, al contrario, lottano per una parità salariale e sociale volta al raggiungimento di un’indipendenza su più fronti.

Nonostante la sua posizione tutto sommato ortodossa, Anzoletti viene attaccata dai conservatori cattolici che riscontrano nei suoi discorsi cenni di modernismo, derivato forse dalla frequentazione assidua di Salvatore Minocchi, Antonio Fogazzaro e altri intellettuali del tempo.

Impegno sociale durante la Grande Guerra

Nel 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia l’impegno patriottico e la lotta per l’eguaglianza si fanno più intensi e nel triennio successivo Luisa è attiva nell’assistenza dei profughi, dei feriti di guerra e degli orfani. Nonostante sia gravata da pesanti problemi economici, non manca di prestare aiuto alle persone bisognose. 

L’11 ottobre del 1921 la poetessa viene incaricata di tenere il discorso commemorativo per la definitiva unione del Trentino all’Italia, in occasione del XXV anniversario dell’inaugurazione del monumento a Dante (il territorio fu annesso all’Italia con la legge del 26 settembre 1920), alla presenza del re Vittorio Emanuele III e della regina Elena.

Luisa compone per l’occasione una canzone che poi diventa parte del nucleo centrale della raccolta Vita. Nuove liriche, pubblicata da Zanichelli editore, Bologna, nel 1904. Durante l’inaugurazione del monumento prendono la parola intellettuali e letterati provenienti da tutta la penisola nonché Cesare Battisti e la moglie Ernesta Bittanti. Riceve lodi da Carducci e Fogazzaro.

Recita così la quarta stanza della Canzone a Dante:

Come ride a un bel sol che l’alpe inonda

Il tugurio famoso e la stamberga,

Vedi, rinasce intorno a te gioconda

Questa misera terra, che ti alberga.

Vedi, anch’essi recaro

Il povero, il fanciul, la femminetta

L’offerta piccioletta

Al nobil bronzo. Oh vedi e ti sia caro

Questo popolo umìle,

Non reo; fiaccato dal destin, non vile.

Il «popolo [...] fiaccato dal destin» abita la penisola italiana, percorsa da guerre intestine non ancora concluse considerata la presenza austriaca nella regione trentina e la recente annessione veneta al Regno (nel 1866). Il popolo è quindi stanco, indebolito, ma non per questo privo di coraggio, né di senso di appartenenza, che si manifestano anche attraverso la devozione verso la statua di Dante, diventato per Anzoletti simbolo dell’irredentismo italiano.

Luisa con Re V. E. III e Regina Elena, Biblioteca Comunale di Trento, Fondo Anzoletti 1 5462 VI

Scrivendo di lei e della sua visione patriottica nella rivista milanese Fiamma, lo scrittore e librettista Luigi Orsini dice: «Gli elementi più forti e veramente immortali del patriottismo italiano hanno radici nella fede religiosa, nella virtù femminile e nel culto familiare».


[1] L. Anzoletti, La donna nel progresso cristiano, Milano, Cogliati, 1895.

[2] M. Fuller, Woman in The Nineteenth Century, in «The Dial», New York, 1845.

[3] «Man is a child of god; and if he seeks this guidance to keep the heart with diligence, it will be so given that all the issues of life may be pure. Life will the be a temple». Ivi, cit., p. 1.

[4] L. Anzoletti, La donna nuova, Milano, Cogliati, 1898. In questo anno, a Milano e a Torino tenne due conferenze, il cui testo venne pubblicato in questo opuscolo edito da Cogliati.           

[5] Ivi, cit., p. 41.  

[6] L. Anzoletti, La donna nuova, cit., pp. 27-28.

[7] Ivi, cit., p. 43.

[8] Cfr. L. Anzoletti, La donna nel progresso cristiano, cit., p. 13.  «La cultura femminile non ha da essere oggigiorno solo un bagno galvanico da cui le intelligenze escano spalmate di una tintura qualsiasi di erudizione che presto scompare nella vita pratica».    

[9] L. Anzoletti, Contributi ad una discussione sul femminismo, in «Rassegna Nazionale», CXXXVIII (1904).

[10]  Ivi, cit., pp. 18-19.   

di Carla Gubert e Stella Manerba

L’interesse di Luisa per la letteratura si manifesta, in principio, attraverso la lettura dei versi della Vita Nuova di Dante, il cui primo approccio è raccontato in una testimonianza diretta:

Forse fu strano che io lo potessi gustare sì dolcemente senza capirlo che in parte; ma anche ciò che non capivo mi apparve soavissimo nel suo mistero. Senza quasi aver udito per l’innanzi il nome di Dante compresi da me a quale immensità m’ero affacciata. [1]

La giovane, da questo momento in avanti, desidera possedere i rudimenti della metrica e della composizione in versi, per potersi esprimere nell’arte del poetare, come il suo primo sommo ispiratore. Un altro episodio saliente della sua giovinezza risale ai primi versi poetici, scritti su consiglio della madre, in risposta a un componimento musicale dedicatole dal suo maestro di pianoforte. [2] Così, all’età di diciotto anni, scrive Mestizia, che inizia a circolare ed essere letta, sebbene sia solo un primo esperimento ancora acerbo.

Una raccolta poetica di fondamentale importanza è Vita. Nuove liriche [3], pubblicata in seguito alle lodi ricevute per quattro canzoni scritte nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Fornaciari, accademico, della Crusca, consiglia di raccoglierle in un’opera, che poi prenderà forma con il titolo di Vita.

Raffaello Fornaciari a Luisa Anzoletti, 11 giugno 1897: [4]

Carissima e troppo gentile amica mia,

ricevetti e lessi con la dovuta attenzione il suo bellissimo articolo Gli Artefici della delinquenza (?) dov’Ella ricrea, per così dire, e compia, in ciò che ha di monco, l’importante libro di cui parla. È un articolo pieno di pensieri maturi e di caldo sentimento religioso, e qua e là giunge all’eloquenza. Come si spiega che una signora, qual Ella è, vissuta fin le pareti domestiche, e poco aggiuntasi per la società, la trovi (?) così addentro anche nella corruzione e ne’ rimedi da porvisi? Intelletto d’amore, direbbe Dante. Le ripeto un Brava di cuore. Anche le tre poesie mi sono molto piaciute, specialmente per una certa originalità e schiettezza di poetico sentimento. Quanto mi riconosco freddo io, se mi paragono al suo fervido sentire! Ella sente da uomo, più che da donna e mi ricorda qualche volta (ma in senso bello) la Mascula Sappho di Orazio. Più di tutte mi piace il Cipresso pieno di mesti colori (…).

Il Turbine ha un bel movimento lirico; ma non meno ben chiaro che vi si nasconda una satira di certi poeti furibondi e socialisti e, un tantino, carducciani.

Rimane però Canti dell’ora, del 1914, la raccolta più esaustiva e completa.

Fotografia di Fornaciari con dedica rivolta a Luisa Anzoletti, Biblioteca Comunale di Trento, Fondo Anzoletti 15462

Canti dell’ora (1914)

È una raccolta di poesie pubblicata nel 1914 e divisa in sette sezioni: Fantasie, Elegie, Paginette, Motivi lirici, Sonetti, Poemetti guerreschi, Strofe nuove.

 L’opera è in grado di fornire un quadro piuttosto completo della produzione matura di Anzoletti, che spazia in varie tematiche, dalle più esistenziali ai componimenti d’occasione, i quali però costituiscono un pretesto per poter riflettere su questioni altre, radicate in profondità. La letterata fa sfoggio di un variopinto registro linguistico che si adatta ai diversi contesti con coerenza, talora ricadendo in una magniloquenza che tuttavia non impedisce ai versi di comunicare con chiarezza. Anche le immagini evocate tramite paragoni e similitudini, talvolta originali, talaltra riprese dalla tradizione, permettono al lettore di focalizzare quasi visivamente concetti di non immediata comprensione. 

I rapporti con la casa editrice Treves

Passando in rassegna gli epistolari dei fratelli Anzoletti conservati nell’Archivio della Biblioteca Comunale di Trento, sono state selezionate alcune lettere inedite, utili per tracciare un breve profilo cronologico dell’esordio editoriale e critico della sua opera ultima, i già citati Canti dell’ora. Come spesso accade nel caso di una raccolta poetica, essa non viene pensata come tale fin dal principio, ma si tratta di un compendio ragionato di scritti precedenti, poi riuniti sotto un comune denominatore. Innanzitutto, elemento non di poco conto per comprendere la fortuna letteraria di Anzoletti, siamo a conoscenza del fatto che le sue liriche hanno raggiunto anche case editrici e destinatari esteri, come testimonia un’epistola di argomento letterario, in lingua francese.

Di seguito due lettere esemplificative del rapporto tra Luisa Anzoletti e i Treves, professionale e amicale.

Emilio Treves, dalla direzione editoriale, Milano 6 giugno 1914. Per la pubblicazione dei Canti dell’ora[5]

Preg.ma Signora,

In questi giorni ho dato in tipografia il piano dei lavori da preparare per l’autunno, e tra questi c’è anche il suo. Ma non sarebbe possibile precisare sin d’ora il mese della pubblicazione, la quale dipende da circostanze e opportunità non determinabili a qualche mese di distanza. Qui sono sempre in lavoro molti volumi contemporaneamente; di mano in mano in mano che la stampa volge alla fine, si stabiliscono i gruppi di novità da pubblicare a qualche distanza l’uno dall’altro, secondo criteri d’opportunità, di stagione, ecc.

Assentandosi da Milano in successivi mutamenti di residenza, ci comunichi il suo indirizzo, e dovunque Ella sia le bozze La raggiungeranno. Una volta incominciata la composizione, la rapidità dipenderà principalmente da Lei, se sarà sollecita nel rimandar le bozze, e se le correzioni saranno leggere.

Il poter dire che la pubblicazione avverrà in autunno basta perché Lei e le persone che s’interessano al suo libro possano raccogliere sottoscrizioni. Ella riceverà 12 copie gratis, e sulle altre copie che acquisterà per servire i sottoscrittori avrà lo sconto del 25%. Non è possibile concedere più dello sconto librario.

Grato per le amabili espressioni e gli augurj, mi abbia con distinta considerazione

Suo dev.

Emilio Treves.

20 gennaio 1915, Virginia Treves a Luisa in ringraziamento per il volume Canti dell’ora. Minuta: [6]

Carissima, sono proprio contenta di aver veduto stampato il suo bel volume e la ringrazio della copia che mi ha mandato con una dedica così gentile proprio conscia di non meritare, ma dovere alla sua bontà a mio riguardo. Ho già incominciato a leggere qualche sua poesia che mi è molto piaciuta e sarà per me un godimento gustarle tutte appena i miei occhi che ora sono un po’ ammalati e vedono stanchi me lo permetteranno (...).

Il cipresso (nel giardino di casa)

Significativo l’episodio citato da più fonti in cui si ricorda il cipresso nel cortile della sua casa milanese, che le aveva ispirato svariate poesie come Anime lontane nei Canti dell’ora del 1914. L’albero, proprio prima della sua morte, era sull’orlo del collasso, quasi in simbiosi con colei che tanto l’aveva osservato durante la vita.

[…]

E vidi ‘l sole ch’alto trionfava

lasciarsi far per gioco un po’ paura

dal cipressetto mio che lo toccava.

[…]

Ch’altro ell’è mai la luce

se non d’amplessi una visibil brama,

la quale arde e riluce

come la stella in tra la chioma suole

de l’umile alberella sua che l’ama,

o quando indulge al cipressetto il sole?

[…]


[1] G. De Felice, Luisa Anzoletti, cit., p. 13.

[2] Ibid. Tali versi verranno pubblicati da Gaetano de Felice sul Corriere d’Italia, ripresi da una lettera di S. Minocchi del 1896.  

[3] L. Anzoletti, Vita, Bologna, Zanichelli, 1904. Raccolta poi ribattezzata Alba, Milano, Cogliati, 1904.  

[4] Biblioteca Comunale di Trento, Fondo Anzoletti 1/Xa.

[5] Biblioteca Comunale di Trento, Fondo Anzoletti 1 5452 1-3.2.

[6] Biblioteca Comunale di Trento, Fondo Anzoletti 1 5452 1-3.2.

 


 

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di Alberto Delama

Avvicinarsi alla figura di Marco Anzoletti svelandone aspetti che vadano oltre a meri tratti biografici non è cosa semplice: personalità schiva, consapevole del proprio talento ma che non godette di corrispettiva fama, Marco non riuscì a imporsi come avrebbe certamente desiderato sulla scena musicale italiana ed internazionale.

I principali tentativi di delineazione biografica di Marco Anzoletti si ritrovano nelle voci omonime dei principali dizionari dedicati ai musicisti, come ad esempio quelle curate da Oscar Mischiati nel Dizionario Biografico degli Italiani, nel Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti diretto da Alberto Basso [1] e nel Dizionario dei Musicisti nel Trentino a cura di Antonio Carlini e Clemente Lunelli; i contributi più corposi di indagine sulla personalità e l’attività accademica e artistica invece si possono trovare nell’interessante volume che raccoglie gli atti della giornata di studi tenuta a Trento il 3 febbraio 2009 in occasione degli ottant’anni dalla morte del violinista e compositore trentino.

Il volume, curato da Giovanni Delama, prende il titolo da un verso di un sonetto composto da Anzoletti stesso: “Aspro cammino è l’Arte”. Marco Anzoletti (1867-1929); i vari saggi che appaiono nel volume mostrano diversi aspetti dell’operato anzolettiano: un progetto di catalogazione delle opere strumentali, la storia dei suoi lavori teatrali, un interessante saggio sul metodo didattico negli anni milanesi, un corposo intervento sulla collezione paganiniana posseduta da Anzoletti, l’inventario dei documenti che formano il fondo Anzoletti della Biblioteca Comunale di Trento e in ultimo tre facsimili di partiture per violino e violoncello e per violino solo.

Lo sguardo su diverse sfaccettature permette di avvicinarsi da altre angolazioni alla personalità di Marco Anzoletti, che vadano oltre a puri dati biografici; in particolare l’inventario delle lettere consente allo studioso di accedere in maniera agile al contenuto del fondo che si presenta piuttosto corposo.

Un inquadramento biografico

Materiale biografico su Marco Anzoletti giunge dal fondo stesso: egli infatti ebbe cura di mantenere contatti a livello europeo ed extra-europeo per cercare di diffondere le proprie opere e la conoscenza della propria figura, conservando allo stesso tempo ogni articolo di giornale o recensione che parlasse di lui dal punto di vista sia artistico sia biografico.

È il caso piuttosto interessante dell’articolo intitolato Vida musical milanesa apparso su «La Prensa», quotidiano di Buenos Aires, a firma di Giovanni Battista Nappi domenica 3 febbraio 1924; nell’articolo Nappi delinea biograficamente, in maniera piuttosto celebrativa, la figura di Marco Anzoletti dagli anni della formazione trentina in ambito familiare [2] con i primi successi, sino agli anni di studio milanesi e austriaci, l’avvio della brillante carriera violinistica e poi compositiva e didattica (BCT 4.601).

Figlio di Luigi Anzoletti, violoncellista dilettante di un certo talento tecnico (Marco in più occasioni nelle lettere a lui indirizzate lo loderà), fu il suo primo insegnante di violino; la sorella Luisa fu pianista che spesso accompagnava Marco in concerto e il suo nome sopravvive soprattutto grazie alla carriera letteraria, in quanto dotata poetessa e tra i primi e più importanti esempi di donna che venne riconosciuta in campo letterario e godette di stima già durante la propria carriera.

Ma Marco poteva vantare parenti di tutto rispetto come gli zii Francesco, Giovanni e Giuseppe, musicisti, direttori d’orchestra e compositori che hanno lasciato la loro profonda impronta artistica in terra trentina e non solo (Giuseppe diede un contributo fondamentale allo sviluppo della Società dei Concerti di Bolzano).

Insomma la musica era un elemento quotidiano in casa Anzoletti e Marco ben presto ne assorbì gli influssi migliori: a dieci anni stupiva per le esecuzioni di Spohr e Paganini e a quattordici entrò al Conservatorio di Milano nella classe di Girolamo De Angelis per il violino e sotto la guida di Gaetano Coronaro, Cesare Dominicetti e Amilcare Ponchielli per il percorso compositivo, primeggiando in tutte le materie. [3]

Nel 1885 finì gli studi a Milano con il massimo dei voti e menzione speciale e iniziò un perfezionamento con Jacob Grün a Vienna; diede così inizio ad una brillante carriera concertistica in Italia e all’estero, riscuotendo molto successo. [4]

Due eventi successivi si possono ritenere fondamentali per la vita di Marco: la cattedra al Conservatorio (che manterrà fino al 1928, un anno prima della morte) e il contatto con Johannes Brahms. Infatti nel 1889, a soli ventidue anni, Anzoletti vinse il concorso per la cattedra di violino che era stata del suo maestro De Angelis, evento che suscitò scalpore ma di cui si fece sicuramente forza Antonio Bazzini (allora direttore) per rimarcare l’eccellenza che il “suo” Conservatorio era in grado di produrre. [5]

L’evento più significativo risale però al 1894 circa (non c’è certezza riguardo l’anno), quando Anzoletti inviò una copia delle sue 24 Variazioni su un tema di Johannes Brahms per violino e pianoforte a Brahms stesso, e il compositore amburghese rispose in maniera entusiastica promettendo la segnalazione della partitura all’editore Simrock, che la pubblicò nel 1894.

Lettera di J. Brahms a M. Anzoletti, Biblioteca Comunale di Trento, Fondo Anzoletti 4.500

Alla lettera di risposta di Brahms seguirà l’invio di una foto del compositore seduto in uno studio con una dedica. L’evento rappresentò una naturale svolta nella vita di Marco, che vedeva riconosciuto il proprio talento da uno dei più grandi compositori tardoromantici e la pubblicazione di un proprio lavoro da uno degli editori più rinomati.

Dagli anni Ottanta dell’Ottocento Anzoletti diede avvio alla sua carriera compositiva, che portò avanti sino agli ultimi anni di vita, diradando progressivamente l’attività concertistica per dedicarsi appieno alla didattica in Conservatorio e alla composizione.

Parlando del suo metodo didattico, la questione è stata delineata in maniera esauriente da Marcello Defant nel saggio Anzoletti professore a Milano: considerazioni intorno al suo metodo didattico scritto in occasione della giornata di studi del 3 febbraio 2009. In esso viene messo in luce un particolare aspetto che emerge anche avvicinandosi alle composizioni cameristiche di Anzoletti: l’alto livello tecnico che la sua musica richiede.

Marco era un virtuoso del violino e un compositore di un certo gusto, e nelle proprie composizioni e metodi didattici il livello tecnico di un certa levatura è una caratteristica di una certa importanza: ne sono un esempio i 12 studi per viola pubblicati nel 1919 da Ricordi. Essi tutt’oggi sono parte del programma di diploma del percorso tradizionale in Conservatorio, quindi richiedono il più alto livello di preparazione tecnica. [6]

(Da: Alberto Delama, Tre composizioni cameristiche di Marco Anzoletti degli anni 1903 e 1905: studi preparatori per un’edizione critica, tesi di laurea magistrale in Musicologia LM-45, Libera Università di Bolzano-Università di Trento, a.a. 2017-2018, pp. 22-25).


[1] È interessante rilevare che in entrambi i dizionari citati l’anno di nascita riportato alla voce Marco Anzoletti viene segnato 1866 e non 1867, come facilmente dimostrabile dall’attestato di nascita e battesimo conservato nel fondo Anzoletti presso la biblioteca Comunale di Trento con segnatura BCT 4. 601. In particolare nel caso di Mischiati l’errore viene mantenuto anche nella versione digitalizzata presente sul sito Treccani.it (data ultima consultazione: 1 agosto 2018); nel caso della voce curata da Alberto Basso sono presenti delle discordanze di date per quanto riguarda gli anni di formazione.

[2] La famiglia Anzoletti era il tipico esempio di famiglia di “filarmonici”: musicisti, letterati, personalità attive dal punto di vista artistico-musicale in territorio trentino e altoatesino erano assidui frequentatori di salotti privati come quello dei Lazzari e nella loro stessa residenza di Villa Rosa a Mesiano.

[3] Il curatore può confermare l’alto livello del percorso di Conservatorio di Anzoletti poiché ha avuto modo di visionare i registri di classe degli anni di studio di Marco potendo osservare come in ogni materia il voto fosse sempre “dieci”; l’occasione è stata resa possibile dalla messa a disposizione dei registri da parte del docente Stefano Carlini durante lo svolgimento dell’intervento incentrato su Marco Anzoletti che si è tenuto presso il Conservatorio di Milano all’interno della rassegna Musica da leggere martedì 22 maggio 2018.

[4] Giovanni Delama, Introduzione, in "Aspro cammino è l'arte". Marco Anzoletti (1867-1929). Atti della giornata di studi. Trento, 3 febbraio 2009, a cura di Giovanni Delama, Trento, Società di Studi trentini di scienze storiche, p. 9.

[5] Marcello Defant, Anzoletti professore a Milano: considerazioni sul suo metodo didattico, in "Aspro cammino è l'arte". Marco Anzoletti (1867-1929). Atti della giornata di studi. Trento, 3 febbraio 2009, a cura di Giovanni Delama, Trento, Società di Studi trentini di scienze storiche, pp. 41-42.

[6] Marcello Defant, Anzoletti professore a Milano: considerazioni sul suo metodo didattico, cit., pp. 37-40.